Nel 1990 il premier inglese Margaret Thatcher, qualche mese dopo la caduta del Muro di Berlino e nel momento in cui la Germania si avviava velocemente alla riunificazione, organizzò un seminario con esperti di politica ed economia tedesca per capire quali potevano essere gli scenari in Europa con una Germania di nuovo unita nel cuore dell’Europa. Il risultato fu che non bisognava avere paura. La storia ha dato ragione alle conclusioni di quel seminario.
Nell’affrontare la questione del ruolo che l’Europa gioca (e potrà giocare in futuro) nel mondo e degli orientamenti strategici che dovrebbero guidarne pensiero e azione, è importante soffermarsi anche su quelli che sono i vincoli strutturali con cui bisogna fare i conti. Quando osserviamo la situazione dei rapporti energetici, questi condizionamenti devono essere tenuti bene a mente, e vale la pena qui ripercorrerli brevemente.
All’interno del workshop “European-Russian Dialogue: from Damage Limitation to Renewed Engagement”, tenutosi a Roma il 13 ottobre nell'ambito delle iniziative del semestre italiano di presidenza dell'Unione Europea e promosso dall'ISPI e da uno dei principali istituti di ricerca russi, il RIAC (Russian International Affairs Council), che ha visto riuniti i maggiori think tanks russi ed europei, durante la sessione dedicata a “I rapporti in ambito economico, energetico e del business” sono stati messi in evidenza alcuni punti cruciali delle relazioni russo-europee, come la c
Negli ultimi mesi l’attenzione dei media e delle agenzie d’intelligence del vecchio continente si è focalizzata sul fenomeno delle partenze verso il Levante da parte di giovani che, dotati di passaporto europeo e istruzione occidentale, cercano di prendere parte al jihad siriano.
L’autunno è puntualmente arrivato in tutta Europa e la questione delle forniture di gas russo attraverso l’Ucraina è inevitabilmente tornata di attualità. I governi di Kiev e Mosca da settimane sembrano prossimi a una soluzione temporanea in vista dell’inverno, ma manca un impegno scritto. L’accordo sembrava ormai chiuso a fine settembre, dopo un vertice trilaterale con anche l’UE tenutosi a Berlino e l’annuncio di un’intesa, battezzata Winter Package, da parte del Commissario europeo Günther Oettinger(1).
Anche prima della sua formalizzazione negli esiti del vertice di Celtic Manor del 4-5 settembre scorsi, l’immagine che l’Alleanza Atlantica ha dato agli osservatori esterni e ai suoi stessi membri di fronte alla perdurante crisi ucraina è stata quella di una realtà coesa e ricompattata intorno al ‘core business’ della difesa collettiva, dopo i tempi non facili - sul piano politico come su quello operativo - delle missioni ‘non articolo 5’.
Lo si sapeva da tempo ma adesso se ne è avuta la conferma. Il tradizionale asse tra Parigi e Berlino che ha permesso all’Unione europea di raggiungere traguardi storici si è spezzato. Il motivo è sotto gli occhi di tutti da alcuni anni almeno: l’asse era troppo sbilanciato e pendeva pericolosamente verso la Germania, fino a spezzarsi appunto.
La definizione dei confini dell’Europa pone da sempre una sfida politica e culturale fondamentale per le élite e le società del “vecchio continente”. Più che in altre parti del mondo, il rapporto con l’altro da sé ha avuto un influsso decisivo sui processi attraverso i quali si è sviluppata l’identità del continente.
Le condizioni di sicurezza sempre più critiche dei due “vicinati” dell’UE catalizzano ancora di più l’attenzione del pubblico sulle nomine dell’Alto rappresentante e del Presidente del Consiglio europeo, ovvero dei soggetti principali, insieme agli Stati membri, dei processi decisionali relativi alla Politica estera e di difesa comune europea (Pesc).
L’abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines, il 18 luglio scorso, che ha provocato la morte di 298 persone ha spalancato alla crisi ucraina scenari nuovi e, per molti aspetti, inattesi.
La crisi tra Russia e Ucraina e l’ondata di instabilità che ha investito il Nord Africa e il Medio Oriente hanno messo in luce, ancora un volta, le criticità del sistema di approvvigionamento energetico dell'Europa e ancor più di quello italiano. Un arco di instabilità sembra coinvolgere gli storici produttori e i partner europei, fatta eccezione per i paesi del Golfo. La Russia, sebbene minacciata da nuove sanzioni europee nel settore dell'energia, appare destinata a conservare il ruolo di pivot energetico del Vecchio Continente e su questo punto sorgono forti interrogativi sulle conseguenze che la crisi potrebbe avere nel prossimo futuro. La Libia sta vivendo una situazione di anarchia che mette a repentaglio la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e che costringe le compagnie internazionali a ritirarsi dal paese.
La crisi dell’Ucraina – che, dopo l’annessione della Crimea alla Russia, continua nelle regioni orientali del paese – ha profondamente modificato la posizione di Mosca nello scenario internazionale.
La Russia deve ora affrontare una crisi dei suoi rapporti con l’Occidente ancora più grave di quella seguita alla guerra con la Georgia dell’agosto 2008, che pure aveva indotto molti osservatori a parlare con eccessiva precipitazione di “nuova guerra fredda”. Questo volume affronta i temi centrali della odierna situazione russa, tanto nella sfera interna (politica, economia) quanto in quella esterna (la dimensione energetica, i rapporti con l’Europa, gli Stati Uniti, l’Asia Centrale e la Cina).