Dal 2001 LivingEducation è impegnata in Pakistan per dare a ragazze e donne senza mezzi un futuro migliore e più indipendente attraverso il migliormento della loro preparazione scolastica. LivingEducation gestisce due collegi per ragazze che ospitano attualmente 200 giovani molte delle quali orfane, due asili, un corso per maestre d’asilo nonché un ufficio dei diritti umani e una casa per donne nei pressi di Islamabad.
Abbiamo chiesto a Yahya Hassan Bajwa, presidente di LivingEducation, di raccontarci come è nata la sua associazione e come opera.
Come è nata LivingEducation?
Già negli anni Cinquanta e Sessanta mia madre aveva aperto la prima scuola di cucito per donne in Pakistan e credo che nel subconscio questo mi abbia influenzato. A 14 anni, mentre frequentavo un prestigioso collegio svizzero, decisi che avrei fondato una scuola diversa, una scuola aperta ai ragazzi orfani e bisognosi. Qualche anno più tardi incontrai colui sarebbe poi diventato mio fratello, Fida Hussain Waraich, che sposò la mia idea e mi aiutò a concretizzarla. Ora Fida continua a collaborare con me dal Pakistan mentre io opero dalla Svizzera.
Perchè ha deciso di concentrare le attività di LivingEducation sulle donne?
Il caso della giovane Malala, gravemente ferita alla testa per il suo blog nel quale documentava il regime dei talebani pakistani contrario ai diritti delle donne, ha portato l’attenzione internazionale sulla difficile situazione sociale in cui versano le donne in Pakistan, in particolare negli strati più poveri della popolazione. Questa situazione ci era già nota da tempo e per questo abbiamo deciso di occuparci innanzitutto di loro. Il nostro intervento è finalizzato ad aiutare le donne a prendere in mano le redini del proprio destino, in modo da essere in grado loro stesse di cambiare la propria situazione. L'educazione che impartiamo non si limita alla sola formazione scolastica, ma cerchiamo di preparare le ragazze alla vita“fuori“.
LivingEducation vive attivamente la tolleranza e il rispetto della diversità (etnica, religiosa, sociale). Nelle nostre strutture vivono e studiano fianco a fianco ragazze cristiane e musulmane e le due comunità religiose sono rappresentate in ugual misura. In un paese come il Pakistan, dove le minoranze religiose non godono della protezione dello Stato e la mentalità generale nella migliore delle ipotesi le tollera e nella peggiore le perseguita, LivingEducation cerca di gettare “semi di pace” sul terreno fertile della giovane generazione, affinché cresca con la capacità di accettare la diversità, la sappia vivere nella società e nella famiglia e la propaghi con il suo esempio alle future generazioni.
Come si deve comportare l’assistente umanitario occidentale in paesi come il Pakistan?
Svolgo da tempo corsi per futuri assistenti sociali e noto spesso come il sapere universitario abbia poco in comune con la realtà di un determinato paese. Per questo credo che sia molto importante che sul posto l’assistente umanitario alle prime armi abbia la modestia di accettare e seguire i consigli dei responsabili più esperti. In paesi come il Pakistan la realtà è spesso diversa e più complessa di quello che si può immaginare e i suggerimenti di chi ha maggior familiarità con le tradizioni locali possono evitare difficoltà e complicazioni che inevitabilmente si presentano a causa della diversità culturali e linguistiche.
Cosa vi aspettate dagli assistenti volontari che operano per LivingEducation?
Noi pensiamo che sia importante integrare il personale locale nelle attività di LivingEducation. Per questo le lezioni dei nostri collegi sono condotte da impiegati locali. Tuttavia, ci siamo avvalsi di un utile supporto di esperte svizzere e tedesche per organizzare e animare i corsi per maestre d’asilo e avviare l’ufficio per i diritti umani. Ci tengo a sottolineare che per coloro che vogliono lavorare in paesi come il Pakistan è imprescidibile essere in grado di adattarsi alle circostanze del paese, un’impresa, confesso, non sempre facile.
Cosa le dà soddisfazione del lavoro che svolge?
Una delle cose che mi maggiori soddisfazioni è sentire le ragazze progettare il loro futuro. Molte sognano di diventare medici o ingegneri, perché queste professioni permettono di guadagnare bene. Alcune ragazze, invece, hanno detto di voler diventare maestre o avvocatesse per aiutare le donne a difendere i propri diritti.
A volte però ci sono desideri più originali come nel caso di una ragazza che mi ha confidato di voler diventare presidente del Pakistan!
Penso che il solo fatto che queste ragazze ritengano possibile raggiungere tali posizioni sia molto importante e ciò costituisce per noi un grande successo. Questo semplice fatto infonde coraggio, a noi e a loro, e la possibilità di realizzarlo passa in secondo piano. Noi ci impegnamo per fornir loro gli strumenti e una reale opportunità di realizzare i loro sogni. Poi però spetta a loro coglierla!