I PRIMI PASSI VERSO L’INTEGRAZIONE
LA SVOLTA DEL 1992: IL TRATTATO DI MAASTRICHT
L’UNIONE A CAVALLO DEL NUOVO MILLENIO
LE MODIFICHE DEL 2007: IL TRATTATO DI LISBONA
I RAPPORTI DEL PARLAMENTO CON LE ALTRE ISTITUZIONI EUROPEE
IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA
LE PROCEDURE DI VOTAZIONE E ADOZIONE DEGLI ATTI
I PRIMI PASSI VERSO L’INTEGRAZIONE
L’idea che il continente europeo potesse raggiungere una qualche forma d’integrazione oltre la struttura rappresentata dagli Stati nazionali, non appartiene a questo secolo. Già nel Settecento, infatti, alcuni filosofi come Kant o l’Abbé de Saint–Pierre vi avevano pensato: ciò che immaginavano era la creazione degli “Stati Uniti d'Europa”, secondo l’espressione di Victor Hugo. Non a caso il XVIII e XIX secolo furono il periodo storico in cui, grazie all’evoluzione del diritto internazionale, si era potuti arrivare alla nascita di un’embrionale rete di consuetudini e istituzioni, rafforzata dal cosmopolitismo della società europea di quel tempo.
Fu solo tuttavia nel corso del Novecento, sotto la spinta dei due conflitti mondiali e dei totalitarismi che l’idea di tentare di integrare, dal punto di vista politico e/o economico, gli Stati europei prese pienamente corpo. Già nel 1944 la Gran Bretagna promosse l’idea di una Western Union, la quale però non avrebbe dovuto andare oltre la collaborazione intergovernativa, caratteristica questa, che si rifletterà costantemente nell’atteggiamento britannico verso le istituzioni europee.
Di ben maggiore importanza fu tuttavia il Manifesto Europeista di Ventotene redatto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, dove veniva per la prima volta chiaramente tratteggiato il profilo di un’Europa federale. Le motivazioni alla base del rafforzamento dei legami tra gli Stati europei trovavano le proprie radici nella volontà di arginare definitivamente la serie di guerre che aveva devastato il continente europeo, la cui ultima espressione era stata l’aspra rivalità franco-tedesca, una delle cause dello scoppio delle guerre mondiali. Gli autori del manifesto sentivano infatti fortemente la necessità di superare le dinamiche di conflittualità che avevano avuto inizio nei primi anni del Novecento ed erano poi esplose fragorosamente nei due conflitti mondiali. Inoltre, il nascente bipolarismo, con il predominio territoriale e militare dell’Unione Sovietica - specie negli Stati orientali - metteva a nudo la fragilità dei vecchi Stati europei. Infine, vi era la necessità materiale di aiuti per le economie europee, le quali dovevano recuperare la propria capacità produttiva. Queste esigenze si tradussero sul piano politico nella ricerca e nella formazione di alleanze, quali il Trattato franco-britannico di Dunkerque del 1947 e il Patto di Bruxelles del 1948. Sul piano economico si concretizzarono invece nel cosiddetto Piano Marshall, soprannome dello European Recovery Program, un programma americano di aiuti per le economie del vecchio continente.
Infine, nel mese di aprile del 1949 venne firmato il Patto Atlantico, un’alleanza difensiva tra i Paesi occidentali contro la minaccia sovietica. Il Patto Atlantico fu completato, dopo lo scoppio della guerra di Corea del giugno 1950, dalla creazione del suo braccio militare, la NATO.
Un punto di svolta fu, nel gennaio 1949, la creazione del Consiglio d’Europa, organismo fondato da Francia, Regno Unito, Belgio, Danimarca, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia e Irlanda. Lo scopo di questa organizzazione internazionale era quello di favorire la creazione di uno spazio democratico e giuridico comune in Europa, al cui interno fosse assicurata la tutela dei diritti umani e dell’individuo. Nonostante il Consiglio d’Europa avesse all’epoca soltanto funzioni consultive e sia sempre rimasto al di fuori del quadro istituzionale della Comunità europea, la sua fondazione fu un primo, ambizioso tentativo di superare le divisioni culturali e istituzionali tra gli Stati europei e dar loro un terreno comune su cui basare dialogo e convivenza pacifica.
I primi Trattati
In questi primi anni del secondo dopoguerra, l´idea della casa comune europea veniva così a saldarsi con la situazione politica internazionale. Ciò era ancora più importante in Italia, nazione sconfitta, dove l’inserimento del Paese nelle strutture atlantiche veniva presentato dalle due maggiori personalità dell’epoca, Alcide de Gasperi e Carlo Sforza, come complementare al disegno europeo che aveva cominciato a delinearsi con la creazione del Consiglio d’Europa.
La fortuna dell’Europa risiedeva, in quegli anni cruciali, nella presenza nei diversi Paesi usciti dal secondo conflitto mondiale di grandi statisti. Accanto agli italiani, De Gasperi e Spinelli su tutti, meritano un loro posto nel pantheon europeo il presidente tedesco Konrad Adenauer, il belga Paul-Henri Spaak, i francesi Robert Schuman e Jean Monnet.
Proprio Spinelli e Monnet incarnarono le due principali correnti di pensiero che sono all’origine del processo d’integrazione europea.
Il primo, infatti, può essere ricondotto alla corrente federalista, i cui membri auspicavano il passaggio diretto di competenze prima politiche e successivamente economiche alle nasciture Istituzioni europee, nonché un rapporto di complementarietà fra i poteri locali, regionali, nazionali ed europei.
Il secondo può essere ascritto alla corrente funzionalista, favorevole a una graduale cessione di porzioni di sovranità all’Europa, cominciando dalle Istituzioni economiche.
In questa luce va letta la dichiarazione del Ministro degli esteri Schuman, fatta il 9 maggio 1950 (giorno riconosciuto poi come la festa dell’Unione Europea), il quale proponeva la messa in comune delle risorse carbosiderurgiche francesi e tedesche, al fine di creare "un’Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possano aderire gli altri Paesi europei". Ciò aveva come fine primo la condivisione delle risorse necessarie all’industria pesante e a quella bellica, localizzate lungo il confine franco-tedesco; ma altresì mirava a creare le premesse di un’unione economica degli Stati europei.
Alla proposta Schuman aderirono anche Italia, Belgio, Paesi bassi e Lussemburgo, cosicché si arrivò alla firma, il 18 maggio 1951, del Trattato della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA), primo mattone nella costruzione della casa comune europea.
Il Trattato, della durata cinquantennale (entrato in vigore nel 1952 e scaduto nel 2002 non è più stato rinnovato, essendo state le sue competenze progressivamente assorbite dall’ Unione Europea), aveva come principale obiettivo quello di “sottrarre” agli Stati alcuni poteri, limitatamente al controllo delle materie carbosiderurgiche, affidandone la gestione ad un’Alta Autorità indipendente, con sede a Lussemburgo e con il compito di far rispettare regole comuni nella produzione e nel commercio di carbone e acciaio. Significativamente, le decisioni dell’Alta Autorità erano vincolanti per gli Stati membri: la CECA si configurava dunque come un’entità sovranazionale.
Accanto a questa, la struttura istituzionale prevedeva un Consiglio speciale dei ministri, un’Assemblea comune dei rappresentanti dei Parlamenti nazionali, ed una Corte di giustizia.
La creazione della CECA veniva a comporre un quadro politico-istituzionale nel quale la sicurezza militare era garantita agli Stati europei dall’appartenenza al blocco occidentale della NATO, mentre il rafforzamento dei legami economici era assicurato dai primi passi delle Istituzioni europee.
Proprio per superare la mancanza di autonomia europea nel campo della difesa comune, e sull’onda dell’entusiasmo generato dalla CECA, nel 1952 vennero firmati gli accordi istitutivi della Comunità europea di difesa (CED), le cui origini possono essere rintracciate nel piano presentato dal presidente del Consiglio francese René Pleven nel 1950.
La CED prevedeva la creazione di un esercito europeo integrato sotto comando comune. Inoltre, l’articolo 38 del Trattato CED, conteneva la proposta fatta dalla diplomazia italiana per la creazione di un organo rappresentativo, così da trasformare la CED in comunità politica.
La CED era un progetto ambizioso, che vedeva la partecipazione, per la prima volta dalla fine della guerra, di reparti tedeschi. Fu questo uno dei tanti fattori che generarono apprensioni, soprattutto da parte francese, rispetto all’opportunità di creare un’autorità sovranazionale cui demandare il controllo di truppe e mezzi militari. A causa delle tensioni insite in questo progetto, tale accordo nell’agosto 1954 non venne ratificato dalla stessa Assemblea parlamentare francese. Fu il primo di tanti stop incontrati sulla strada dell’integrazione europea.
La creatività istituzionale e le spinte federaliste dei primi anni ’50, così, si attenuarono, mentre prese piede l'idea di riprendere il cammino europeo attraverso una graduale integrazione economica fra gli Stati della CECA. L’integrazione economica, come già immaginato da Monnet, doveva essere prodromica a una seconda fase, quella della vera e propria unione politica. In quel periodo storico, però, la Francia dopo il rifiuto della CED non poteva più assumere il ruolo di guida dell’integrazione economica come era stato per la CECA.
Il progetto europeo prese nuovo slancio con il Piano Beyen, teso a promuovere l’unità economica, cui seguì la conferenza dei Ministri degli esteri della CECA di Messina (promossa dal Ministro degli esteri italiano Gaetano Martino)
In questa sede venne istituito un Comitato, guidato dal Ministro degli Esteri belga, Paul-Henri Spaak, con il compito di delineare gli obiettivi e gli strumenti per proseguire nella costruzione comunitaria. Alla seguente riunione dei Ministri CECA a Venezia, nel 1956, furono approvate le proposte per l’istituzione di una comunità economica e di una comunità per l’energia atomica.
I negoziati si protrassero fino al 25 marzo 1957, quando vennero siglati da Italia, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo i trattati istitutivi della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità europea per l’energia atomica (EURATOM). Il principale scopo di questi nuovi Accordi era la creazione di un'unione doganale che prevedesse l'adozione di una tariffa doganale comune (effettivamente entrata in vigore nel 1968) nei confronti degli Stati esterni alla CEE e l'abolizione dei dazi doganali interni (in realtà quest’ultima era già prevista nel Trattato CECA, ma limitatamente agli scambi commerciali nel settore del carbone e dell'acciaio).
Le tre comunità ebbero Istituzioni in parte condivise. Comuni erano, infatti, la Corte di Giustizia e l’Assemblea, mentre accanto all’Alta Autorità CECA erano sorte la Commissione CEE, il Consiglio dei Ministri e la Commissione EURATOM.
Nella foto, i membri del Consiglio europeo, insieme ai presidenti di Commissione, Consiglio europeo e Parlamento, in posa per le commemorazioni per il sessantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma del 1957, che istituiva la Comunità economica europea
L’assestamento e l’Atto Unico Europeo
Nel corso degli anni '60, il processo d’integrazione compì notevoli passi in avanti, anche attraverso la firma del Trattato che unificò gli organi esecutivi delle tre Comunità e stabilì il principio dell'unità del bilancio comunitario (1965). I sei Stati fondatori introdussero un mercato comune per una vasta gamma di prodotti e servizi, e furono avviate le prime politiche comuni nei settori dell’agricoltura e del commercio.
Vi furono tuttavia anche momenti di tensione, come nel 1965, durante la cosiddetta crisi della sedia vuota, dove la Francia, a causa del disaccordo con la Commissione sulla politica agricola, abbandonò le riunioni del Consiglio per circa un anno, bloccando i procedimenti legislativi della CEE. La soluzione fu trovata soltanto con il cosiddetto Compromesso di Lussemburgo del 1966, dove il presidente francese De Gaulle ottenne che gli Stati membri potessero chiedere che, su questioni di particolare rilevanza per i propri interessi nazionali, il voto a maggioranza qualificata previsto dai Trattati europei venisse sospeso in favore di un voto all’unanimità. Concretamente, il Compromesso significò che, per un periodo di tempo significativo nei primi anni dell’integrazione europea, le decisioni all’unanimità diventassero la norma nel processo decisionale, rallentando la produzione legislativa e favorendo l’emergere di una impostazione intergovernativa nella CEE, in cui gli Stati membri conservavano ampi poteri.
Ciò nonostante, un lento processo di integrazione sembrava ormai avviato. Se il primo decennio di vita della Comunità era servito per la creazione dell’unione doganale, nel corso degli anni Settanta la CEE vide espandere le proprie competenze, la propria struttura istituzionale e i Paesi aderenti.
Nel 1973 Regno Unito, Irlanda e Danimarca (ma non la Norvegia, dove il referendum ebbe esito negativo) si aggiunsero al numero degli Stati europei.
Inoltre, la Comunità si diede nuovi compiti e politiche comuni quali le politiche sociali, la politica ambientale e quella regionale, per la cui attuazione fu creato, nel 1975, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR). Venne inoltre creata la Corte dei conti comunitaria.
Sempre negli anni Settanta, la CEE cominciò a porre le basi per una più accentuata convergenza delle economie e per la futura unione monetaria. Primo passo fu la creazione nel 1972 del “serpente monetario”, un sistema di regolazione dei tassi di cambio che puntava a limitare le oscillazioni nel valore delle monete degli Stati membri per meglio coordinarne le politiche monetarie. Nel 1979 venne poi creato lo SME, il Sistema Monetario europeo, il quale aveva come obiettivo la fissazione di bande di oscillazione dei tassi di cambio molto strette per le monete dei Paesi che vi aderivano (il Regno Unito vi entrerà solo nel 1990).
Dal punto di vista istituzionale, invece, sempre nel 1979 si tennero le prime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo. Fu un momento molto importante per la “democraticizzazione” del processo europeo, dal momento che per la prima volta i deputati non venivano nominati dai singoli parlamenti nazionali bensì eletti direttamente dai cittadini della Comunità.
La metà degli anni Settanta vide anche la stipula dei primi Accordi Internazionali della Comunità con finalità di commercio e aiuto allo sviluppo con i Paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico), il cui esempio migliore è rappresentato dalla Convenzione di Lomé del 1975, successivamente aggiornata a più riprese e sostituita solo nel 2000 con uno strumento simile siglato a Cotonou.
Il decennio successivo, gli anni ’80, fu contrassegnato da un lato da un allargamento della membership, dall’altro da un approfondimento dell’integrazione economica europea.
Infatti, tra il 1981 e il 1986 entrarono nella famiglia europea Grecia, Spagna e Portogallo, dopo la fine dei regimi dittatoriali che governavano quelle nazioni.
L’impulso decisivo sul versante delle competenze della comunità arrivò invece con due iniziative specifiche. Dapprima venne presentato dalla Commissione europea, presieduta da Jacques Delors, il Libro Bianco per il completamento del mercato interno (1985), in cui venivano affrontati i problemi che ostacolavano la realizzazione dell’unione economica. In seguito, venne concluso il Schengen, sulla libera circolazione delle persone (1985).
Tutto ciò fornì la piattaforma sulla quale venne convocata la conferenza intergovernativa del Lussemburgo, grazie alla quale si pervenne nel febbraio del 1986 all’adozione dell’Atto Unico Europeo, il cui scopo era la realizzazione entro il 1992 di un completo mercato interno europeo, trasferendo anche alcuni ambiti alle competenze dell’Unione (trasporti, energia, telecomunicazioni).
LA SVOLTA DEL 1992: IL TRATTATO DI MAASTRICHT
In seguito alla caduta del muro di Berlino, della dissoluzione dell’URSS e della riunificazione tedesca, nonché avvicinandosi i termini indicati dall’Atto Unico per la realizzazione di un mercato interno, si rese necessaria una revisione dei trattati costitutivi della comunità europea.
Fu quello l’impulso che diede il via alla negoziazione e approvazione del Trattato di Maastricht, la cui dicitura ufficiale è Trattato sull’Unione Europea (TUE). Il trattato fu siglato il 7 febbraio 1992 ed entrò in vigore l’1 novembre 1993, modificando sensibilmente la struttura istituzionale della Comunità europea.
Infatti, con questo documento, si tenta di andare oltre il modello rappresentato dalla comunità, con fini prevalentemente economici, verso un modello compiutamente federale. L’Unione resta fondata sulle comunità europee, integrate però dal rafforzamento delle politiche esistenti e dal trasferimento all’ambito comunitario di nuove competenze.
La struttura del Trattato veniva così a fondarsi su tre pilastri. Il primo comprendente le modifiche ai trattati delle tre comunità europee originarie: CECA, CEE, EURATOM (titoli II III IV). Il secondo riguardava la PESC, la politica estera e di sicurezza comune (titolo V). Il terzo annoverava la cooperazione nei settori della Giustizia e degli Affari Interni (titolo VI).
Le principali modifiche riguardanti i trattati esistenti concernevano nuovi settori di competenza inseriti nei nuovi strumenti giuridici, tra i quali figurano protezione della salute, protezione dei consumatori, industria, cultura e turismo.
Inoltre, la CEE andava a perdere la connotazione “Economica” diventando semplicemente Comunità Europea (CE). Da questo punto di vista assumeva rilievo l’introduzione della Cittadinanza Europea, riconosciuta a tutti i cittadini degli Stati membri. Erano inoltre modificate alcune procedure decisionali, nell’ottica di attribuire maggiore visibilità al Parlamento europeo, fino ad allora parzialmente marginalizzato. Una delle novità più importanti era poi costituita dalla costituzione dell’unione economica e monetaria da attuarsi in tre fasi, l’ultima delle quali si concluse il 31 dicembre 2001 con l’entrata in vigore dell’Euro, il giorno seguente.
Per ciò che concerne il secondo Pilastro, la PESC veniva considerata una politica comune, pur non venendo applicato ad essa il metodo comunitario ma quello intergovernativo. Il ruolo di istituzione guida era affidato in prima battuta al Consiglio Europeo, il quale poteva adottare strategie comuni, e in seconda battuta al Consiglio dei Ministri, al quale spettava l’adozione di azioni comuni.
Quanto al terzo pilastro, si situava a livello di mera cooperazione interstatale l’azione degli Stati membri nell’ambito di Giustizia e Affari Interni (GAI), caratterizzata ancora una volta dal metodo intergovernativo con atti simili a quelli presenti nel secondo pilastro (posizioni comuni) e altri specifici di questo ambito (decisioni quadro e convenzioni internazionali).
In definitiva, l’Unione europea, pur appoggiandosi alle comunità preesistenti, prefigura una cooperazione esterna con gli Stati membri nel secondo e terzo pilastro. Il motivo di tale anomala costruzione andava ricercato nella volontà degli Stati membri di non cedere del tutto la propria sovranità in settori da sempre considerati sensibili e di competenza interna.
L’UNIONE A CAVALLO DEL NUOVO MILLENIO
Il Trattato di Amsterdam
Il Trattato di Maastricht recava esso stesso nelle sue disposizioni finali (titolo VI) la previsione della convocazione di una conferenza internazionale con lo scopo di aggiornare e migliorare la Carta elaborata nel 1992. D’altronde, ciò era imposto anche dall’elevato numero di Stati oramai parte dell’Unione, che ammontavano a quindici dopo l’ingresso nel 1993 di Austria, Svezia e Finlandia.
Il risultato di tali esigenze si tradusse nel Trattato di Amsterdam del 1997, le cui principali modifiche riguardavano la nuova numerazione degli articoli dei Trattati esistenti e il potenziamento della cooperazione rafforzata come meccanismo per raggiungere quella “Europa a due velocità” di cui tanto si era discusso, vale a dire differenti livelli d’integrazione degli Stati nell’UE in relazione a diversi settori d’azione.
Per ciò che concerne il primo pilastro, il Trattato di Amsterdam è intervenuto irrobustendo la procedura di codecisione, rafforzando il ruolo del Parlamento e del Consiglio e dando ulteriore importanza al Presidente della Commissione. Nell’ambito del secondo pilastro furono meglio definiti gli strumenti a disposizione dei governi, vale a dire le strategie e le azioni comuni. Le decisioni concernenti la PESC continuavano ad essere prese all'unanimità, procedura che resta la regola di applicazione generale. Gli Stati membri potevano tuttavia ricorrere alla "astensione costruttiva": in altri termini l'astensione di uno Stato membro non impedisce che una decisione venga adottata. Al Segretario generale del Consiglio fu attribuita anche la funzione di Alto rappresentante per la PESC. Questa nuova figura è incaricata di assistere il Consiglio nelle questioni che rientrano nel settore della politica estera e di sicurezza comune. Vennero inoltre incluse le missioni umanitarie tra le capacità operative dell’Unione (le cosiddette missioni Petersberg, adottate nel 1992)
Infine, le novità di maggior rilievo venivano a trovarsi nel terzo pilastro, dal momento che alcune delle materie attribuitegli (visti, asilo, circolazione delle persone) vennero comunitarizzate. Di conseguenza, il titolo VI fu rinominato “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia Penale”, con lo scopo di garantire ai cittadini comunitari uno spazio di Libertà, Giustizia e Sicurezza. Alla Corte di Giustizia furono anche assegnate competenze per giudicare temi relativi al terzo pilastro e cooperazioni rafforzate.
Il Trattato di Nizza
Un altro tema che rendeva necessaria la revisione degli assetti istituzionali e normativi precedentemente definiti e che non era stata inclusa formalmente nel Trattato di Amsterdam concerneva la struttura da dare all’Unione in previsione di un futuro allargamento ai Paesi dell’ex blocco sovietico e del Baltico. Nel 2004, infatti, dodici nuovi membri avrebbero fatto il loro ingresso nell’Unione: Bulgaria, Polonia, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania e Slovenia, oltre ai due Paesi mediterranei di Cipro e Malta. Nel 2007 sono poi entrate Bulgaria e Romania, portando il totale dei Paesi europei a 27. Nel 2013, infine, la Croazia è diventata il 28esimo Stato membro dell’UE.
La rapida crescita dei Paesi aspiranti candidati fu alla base della conferenza internazionale che si aprì a Bruxelles nel febbraio 2000 e si concluse col Consiglio europeo di Nizza del dicembre dello stesso anno, che portò alla firma del Trattato di Nizza nel 2001. Tra le novità vanno segnalate l’esplicita possibilità d’intervento del Consiglio nell’ipotesi di violazione dei principi fondamentali di libertà e democrazia, ma anche l’ampliamento dei poteri del presidente della Commissione europea.
Fondamentale per la poca visibilità che la materia ha avuto nei decenni passati è stata la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, preparata dai rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del Parlamento Europeo, della Commissione e dei Capi di stato e di governo. La Carta consolida i principi comuni dei popoli europei e delle Istituzioni dell’Unione, rappresentando un notevole passo avanti nel processo d’integrazione, reso maggiormente necessario dal fatto che i diritti umani non avevano avuto un esplicito riconoscimento in ambito comunitario se non in un’ottica economicistica, vale a dire in rapporto alle libertà tutelate dai Trattati.
LE MODIFICHE DEL 2007: IL TRATTATO DI LISBONA
Dopo il fallimento del progetto di Costituzione europea, approvato a Roma il 20 ottobre 2004 ma mai entrato in vigore a causa dell’esito negativo dei referendum in Francia e Paesi bassi, il progetto di riforma dei trattati non è stato abbandonato.
Anziché procedere lungo il binario dell’approvazione di una “carta costituzionale”, si è proceduto alla convocazione di una conferenza internazionale, la quale si sarebbe limitata alla produzione di un Trattato, nel solco dell’esperienza europea precedente.
È stato così firmato il 13 dicembre 2007 il Trattato di Lisbona, che, entrato in vigore nel 2009, rappresenta l’estremo stadio del processo d’integrazione europea. Esso modifica l’assetto istituzionale precedente, poiché l’Unione Europea diviene l’unico soggetto giuridico, assorbendo la Comunità Europea e sostituendo il termine Comunità con quello di Unione.
I trattati vengono ridotti a due: il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Il primo contiene disposizioni relative ai valori su cui si fonda l’Unione, agli obiettivi, alle Istituzioni, alla cooperazione rafforzata e alla Politica Estera e di Sicurezza Comune. Il TUE nasce dall’unione del Trattato di Maastricht, del Trattato di Amsterdam e del Trattato di Nizza. Il secondo, il TFUE, include invece il dettaglio di tutte le competenze affidate all’Unione, nonché i limiti del suo campo di azione e le specifiche dei procedimenti decisionali.
Il Trattato di Lisbona ha anche reso giuridicamente vincolante per gli Stati membri la Carta europea dei diritti fondamentali, cui viene assegnato lo stesso valore dei Trattati. È anche prevista la futura adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) stipulata nell’ambito del Consiglio d’Europa, cui tutti i Paesi membri dell’UE sono aderenti.
Tante sono le novità introdotte dal TFUE: il vecchio terzo pilastro entra definitivamente nel campo di azione comunitario. Sono aggiunti nuovi obiettivi tra quelli perseguiti dall’Unione (la pace, la piena occupazione, lo sviluppo sostenibile, la solidarietà, la coesione). È prevista anche la possibilità che almeno un milione di cittadini europei, provenienti da un numero significativo di Stati membri, possano prendere l’iniziativa di invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta di legge su materie di interesse per i cittadini stessi; è il cosiddetto diritto di iniziativa legislativa.
Il Trattato di Lisbona introduce una base giuridica specifica per l’aiuto umanitario, il quale deve essere attuato seguendo i principi del diritto umanitario internazionale, specie quello di non discriminazione. Il Trattato afferma poi chiaramente che l'obiettivo principale della politica di cooperazione allo sviluppo dell'UE è la lotta alla povertà, un obiettivo di cui l'Unione deve tener conto quando mette in atto politiche che possono avere un'incidenza sui Paesi in via di sviluppo. Ciò implica anche che la politica di sviluppo diviene una parte fondamentale dell’azione dell’Unione, indipendente dalla Politica estera e di sicurezza comune.
Per quanto concerne le Istituzioni, vengono introdotti il Presidente del Consiglio Europeo e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri.
Questa prima carica è eletta dal Consiglio Europeo, entrato a pieno titolo tra le Istituzioni europee, che lo rappresenta all’esterno e il cui mandato è della durata di due anni e mezzo (rinnovabile una sola volta). La nuova figura del Presidente permanente dell’Unione assicurerà la continuità dei lavori del Consiglio europeo. L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri è una figura creata a Lisbona per occupare il posto del Ministro degli esteri originariamente previsto dal testo della Costituzione europea ma osteggiato da alcuni Paesi. Esso è vicepresidente della Commissione e ricopre la carica di Presidente del Consiglio Affari Esteri, che ha sostituito in toto il vecchio Commissario per le relazioni esterne. Dispone inoltre di un servizio diplomatico europeo (Servizio Europeo per l’Azione Esterna), formato da rappresentanti inviati dai vari Paesi membri e funzionari dell’Unione.
Il Parlamento vede accresciuta la propria influenza grazie all’estensione delle materie sottoposte alla procedura di codecisione, ora chiamata procedura legislativa ordinaria, ed avrà un ruolo maggiore nel procedimento di approvazione del bilancio pluriennale e nella nomina del Presidente della Commissione. Inoltre, il nuovo Trattato estende il voto a maggioranza qualificata, che richiede una percentuale superiore alla metà più uno dei voti per l’approvazione di un atto. Permane, invece, la regola dell’unanimità in materie controverse quali la politica estera, la sicurezza sociale ed il fisco. È previsto, inoltre, un maggior numero di rappresentanti dei Parlamenti nazionali, almeno sei per ogni Paese.
Per quanto attiene alle regole di voto, esse riprendono in buona sostanza quanto già previsto dalla Costituzione europea, in base ad un compromesso raggiunto durante i negoziati che istituisce, a partire dal 2014, una maggioranza qualificata in Consiglio basata sul rispetto di un doppio criterio: il 55% degli Stati membri (attualmente 15 dei 27 Paesi europei) che rappresentino il 65% della popolazione europea. Infine, il nuovo Trattato conferma il meccanismo secondo il quale un gruppo di Stati che non raggiunge per poco il numero necessario per porre un veto, cioè per bloccare una decisione del Consiglio, possa comunque porre momentaneamente in “stand-by” tale decisione già approvata fino a quando la maggioranza non sarà più ampia.
I RAPPORTI DEL PARLAMENTO CON LE ALTRE ISTITUZIONI EUROPEE
L’architettura istituzionale europea non si esaurisce nel solo Parlamento europeo, dal momento che l’UE ha bisogno di altre strutture per il perseguimento dei propri obiettivi. Gli organi principali sono il Consiglio europeo, il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia, la Banca Centrale Europea, la Corte dei conti.
Nella tabella che segue, è indicato uno schema riassuntivo di tali Istituzioni europee e delle loro funzioni.
ISTITUZIONI DELL'UNIONE EUROPEA
IL CONSIGLIO EUROPEO
La composizione
All’inizio della sua storia, il Consiglio europeo non faceva parte delle Istituzioni comunitarie. Era infatti nato parallelamente a queste strutture, come conseguenza della prassi consolidata delle riunioni al vertice tenute dai capi di Stato e di Governo dei paesi europei. Questi incontri ricevettero una prima formalizzazione al vertice di Parigi del 1974, dove i leader europei decisero di riunirsi come Consiglio Europeo.
L’Atto Unico Europeo del 1986 diede fondamento giuridico a quest’organo. Il Trattato di Maastricht e il Trattato di Amsterdam ne delinearono le competenze e gli attribuirono un ruolo più incisivo all’interno della struttura dell’Unione. Con la riforma attuata a Lisbona, il Consiglio europeo venne riconosciuto a pieno titolo tra le Istituzioni europee.
Nel TUE viene stabilito che il Consiglio europeo è formato dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri, dal suo Presidente, e dal Presidente della Commissione, con la partecipazione alle sessioni dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri. Si riunisce quattro volte all’anno su convocazione del Presidente.
Le funzioni
Il Consiglio europeo agisce come organo d’impulso e di indirizzo politico dell’UE. Definisce le strategie dell’UE per il lungo periodo, gli orientamenti programmatici e le scelte fondamentali. Esso è il protagonista della cooperazione politica fra gli Stati membri e, di conseguenza, è escluso dal potere legislativo spettante alle altre Istituzioni comunitarie. Le sue competenze ricadono perciò principalmente nell’ambito della cooperazione in materia di Politica estera e di Sicurezza e di Politica di difesa, dove prevale il metodo intergovernativo.
Altre sue funzioni sono quelle di proporre al Parlamento europeo il candidato alla presidenza della Commissione, approvare il collegio dei commissari, nominare l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e definire la Presidenza del Consiglio. Inoltre, esso constata l’eventuale violazione da parte di uno degli Stati membri dei valori dell’Unione e, per quanto riguarda la cooperazione rafforzata, è l’organo cui si rivolgono gli Stati membri che vogliono contrastare l’applicazione di questa procedura in specifici settori.
Nella maggior parte dei casi si esprime per consenso (all’unanimità), a meno che non sia previsto diversamente, come nei casi di nomina del suo Presidente e dell’Alto Rappresentante dove è richiesta invece la maggioranza qualificata.
Il Presidente del Consiglio europeo
Questa figura è una novità introdotta con le riforme del 2007, quando si è sentita la necessità da una parte di garantire la continuità dei lavori del Consiglio europeo nei periodi tra le sedute, dall’altra di dare un volto a questa Istituzione, rafforzandone l’autorevolezza e la visibilità.
Il Presidente (carica detenuta attualmente da Donald Tusk) è eletto a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo rinnovabile una sola volta. I suoi compiti sono di presiedere i lavori del Consiglio europeo, facilitarne la coesione e assicurarne la continuità. Inoltre, rappresenta sulla scena internazionale l’Unione europea, fatte salve le specifiche attribuzioni conferite all’Alto Rappresentante.
I rapporti con il Parlamento europeo
Poiché il Consiglio europeo è escluso dal potere decisionale, i suoi rapporti con il PE non sono frequenti. Tuttavia, esso è comunque tenuto a presentare all’assemblea, per mezzo del suo Presidente, una relazione per ciascuna delle sue riunioni, nonché una relazione scritta annuale sui progressi compiuti più in generale dall’Unione.
Nella foto, un incontro del Consiglio europeo, cui partecipano anche il presidente della Commissione europea e l'Alto Rappresentante dell'Unione per la gli affari esteri e la politica di sicurezza
IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA
La composizione
Il Consiglio dell’Unione europea, o Consiglio dei ministri europei, è composto dai rappresentanti di tutti gli Stati membri (28) a livello ministeriale. Il Consiglio è l’istituzione decisionale dell’Unione, pur condividendo la funzione legislativa e di bilancio con il Parlamento.
È un organo a composizione variabile, poiché a seconda della materia trattata nella specifica sessione, gli Stati membri inviano il Ministro responsabile per quel settore. Il Consiglio si riunisce in dieci formazioni diverse, standardizzate in seguito a una decisione del 2009: Affari generali; Affari esteri; Affari economici e finanziari; Giustizia e affari interni; Occupazione, salute e politica sociale; Competitività; Trasporti, telecomunicazioni ed energia; Agricoltura e pesca; Ambiente; Istruzione, gioventù e cultura. Nello specifico, il Consiglio Affari generali si occupa della continuità dei lavori dell’istituzione, assicura il collegamento con la Commissione e prepara le riunioni del Consiglio europeo. Il Consiglio Affari esteri si occupa di tradurre in iniziative concrete le decisioni e le strategie adottate dal Consiglio europeo.
Dal momento che il Consiglio formato dai ministri degli Stati membri a livello nazionale, di norma i governi dei Paesi della UE danno uno specifico mandato al loro rappresentante, vincolando il suo parere al raggiungimento dell’interesse nazionale nella materia in discussione.
Nel perseguimento dei suoi obiettivi, il Consiglio si avvale di un Segretariato generale per le questioni burocratiche e amministrative, e di un Presidente. La Presidenza del Consiglio è decisa dal Consiglio europeo e si esercita a rotazione per un periodo di sei mesi per ciascuno Stato. Il paese che a turno presiede il Consiglio ha le funzioni di rappresentante dello stesso presso le altre Istituzioni. Inoltre è tenuto a convocare il Consiglio di propria iniziativa oppure su richiesta di un altro Stato membro o della Commissione. Infine, risponde alle interrogazioni parlamentari e cura le relazioni internazionali dell’Unione europea.
Le funzioni
I due principali compiti del Consiglio, il potere legislativo e di bilancio, sono portati avanti assieme al Parlamento europeo. Oltre a queste funzioni, il Consiglio definisce le linee guida politiche economiche e sociali dell’Unione in cooperazione con gli Stati membri, dal momento che tali politiche rimangono di competenza condivisa tra Stati membri e Unione. Inoltre, esso esercita funzioni esecutive in materia di politica estera, dovendo tradurre gli orientamenti adottati dal Consiglio europeo; coordina le azioni degli Stati membri e adotta misure nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale; adotta atti di natura non vincolante come raccomandazioni e risoluzioni. Infine, conclude accordi internazionali per conto dell’Unione con Stati terzi o altri enti internazionali.
Il Consiglio ha a disposizione tre modalità di voto per prendere le sue decisioni: a maggioranza semplice, cioè con il voto favorevole dei rappresentanti di 15 Stati membri; a maggioranza qualificata, vale a dire l’approvazione da parte del 55% degli Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’UE; all’unanimità. Normalmente le sue delibere avvengono a maggioranza qualificata, mentre si ricorre a votazioni all’unanimità in materie come la politica estera o sociale e alla maggioranza semplice per le questioni procedurali.
Il COREPER
Il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri (COREPER) è costituito dalle rappresentanze diplomatiche degli Stati membri presso l’UE. Esso è un organo ausiliare del Consiglio, responsabile della preparazione del lavoro di quest’ultimo e dell’esecuzione dei compiti delegati dallo stesso. In pratica è una struttura di collegamento che serve a compensare la variabilità delle composizioni del Consiglio per coordinare l’attività dei vari gruppi di lavoro, organizzare comitati specifici e predisporre l’ordine del giorno.
I rapporti con il Parlamento europeo
Come detto, il Consiglio è una delle istituzioni decisorie dell’Unione Europea, dato che condivide con il Parlamento la funzione di bilancio e quella legislativa, che pone le due istituzioni su di un piano di parità qualora venga adottata la procedura legislativa ordinaria – come è di norma dopo il Trattato di Lisbona. La procedura legislativa ordinaria è infatti quella applicata nella maggior parte dei settori di intervento della comunità. Esistono anche alcune procedure legislative speciali, nelle quali il PE si limita ad approvare o meno una proposta legislativa (“approvazione”), o a proporre emendamenti non vincolanti al Consiglio (“consultazione”). Come dice il nome, procedure legislative speciali costituiscono delle eccezioni rispetto alla procedura legislativa ordinaria. Si applicano infatti soltanto ad aree particolarmente sensibili per i paesi membri. Il Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) non fornisce una descrizione precisa delle procedure legislative speciali, dunque le loro modalità sono stabilite caso per caso dagli articoli del trattato che definiscono le condizioni per la loro applicazione.
In ambito contabile, è prevista la partecipazione del Parlamento alla formazione del bilancio comunitario, che non può essere adottato senza l’accordo tra il Parlamento ed il Consiglio in merito al quadro finanziario dell’Unione e alle spese da iscrivere a bilancio. Per concludere, bisogna sottolineare come in questi due ambiti le prerogative del Consiglio fossero quasi assolute nei primi anni di vita delle istituzioni comunitarie, per poi essere progressivamente condivise con il PE, a testimonianza dell’evoluzione dell’Unione verso una forma di governo maggiormente partecipata e meno dominata dagli Stati.
LA COMMISSIONE EUROPEA
La composizione
La Commissione europea è composta da funzionari che agiscono per conto e nell’interesse dell’Unione. Anche se sono cittadini degli Stati membri dell’UE, non sono soggetti a un vincolo di mandato o a pressioni di alcun genere in relazione della loro nazionalità. L’indipendenza della Commissione è tutelata da norme specifiche cui devono sottostare i commissari stessi e anche gli Stati membri. Al vertice della Commissione troviamo il collegio dei commissari, uno per ogni Stato membro e guidato dal Presidente della Commissione. Data la vastità delle competenze, la Commissione ha un Presidente e sei Vicepresidenti, tra cui figura l’Alto Rappresentante per gli affari esteri dell’Unione. Attualmente, il commissario italiano è Federica Mogherini, che ricopre la funzione di Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione.
La nomina del Presidente e della sua squadra avviene in più fasi. Una prima vede la scelta, da parte del Consiglio europeo a maggioranza qualificata, del candidato per la presidenza della Commissione. Quindi, Presidente e Consiglio europeo stilano, di comune accordo, un elenco dei possibili commissari, sulla base delle indicazioni fornite dagli Stati membri. Infine, la Commissione nel suo insieme viene sottoposta ad un voto di approvazione da parte del PE, a seguito del quale viene formalmente nominata dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata. Questa complicata procedura intende creare una sorta di vincolo fiduciario tra il Parlamento e la Commissione, senza togliere un ruolo di primo piano agli Stati parte dell’Unione. Non a caso, il mandato della Commissione è di cinque anni, e coincide con la durata della legislazione del Parlamento europeo.
A partire dal 2014, il PE ha chiesto che il Consiglio europeo indichi come presidente della Commissione il candidato proposto per quel ruolo dal gruppo politico del PE che ha raccolto più voti alle elezioni, pena il rifiuto del PE di approvare un candidato diverso. La procedura è detta dello “Spitzenkandidat” (in tedesco, “candidato guida”) ed è intesa dal PE come un modo per dare più legittimità democratica alla figura del presidente della Commissione, legandone nome e appartenenza politica allo schieramento politico che ha ottenuto il risultato migliore alle elezioni europee. Jean-Claude Juncker, ex primo ministro del Lussemburgo appartenente al Partito popolare europeo, è stato il primo presidente eletto seguendo la procedura dello Spitzenkandidat.
Le funzioni
Anche se è impropriamente definita il potere esecutivo della Comunità, la Commissione europea ha in realtà molteplici funzioni paragonabili a quelle di un governo a livello nazionale. Partecipa al processo di creazione della legislazione europea: la procedura legislativa ordinaria, infatti, affida alla Commissione il potere di iniziativa, assegnandole la prerogativa di avviare la procedura proponendo bozze al Consiglio dell’UE e al Parlamento. Una volta che la legislazione viene adottata dall’UE, tocca poi alla Commissione monitorarne l’applicazione da parte degli Stati membri. La Commissione monitora anche l’applicazione dei Trattati e del diritto comunitario, dà esecuzione al bilancio e ne gestisce i programmi, rappresenta l’Unione nelle sue relazioni esterne e, infine, detiene un potere decisionale autonomo in alcune materie quali la concorrenza, gli aiuti di Stato e le imprese pubbliche.
Secondariamente, la Commissione vigila sull’osservanza degli obblighi comunitari da parte degli Stati membri. Per questo scopo è stato approntato un meccanismo di messa in mora dello Stato inadempiente nel caso vengano riscontrate infrazioni, la procedura di infrazione. Qualora, su iniziativa diretta della Commissione o su segnalazione o denuncia di cittadini, imprese o altre parti interessate, venga individuata una violazione del diritto dell’UE e lo Stato membro interessato non proceda a rettificare la violazione o comunicare come intende recepire le direttive europee in materia, la Commissione europea può avviare una procedura di infrazione, che si compone di diverse fasi.
La prima fase è l’invio da parte della Commissione di una lettera, in cui si chiede allo Stato membro accusato di violazione del diritto comunitario di chiarire la propria posizione. In genere sono concessi due mesi di tempo per rispondere alla Commissione.
Sulla base della risposta pervenuta alla Commissione, la procedura può essere abbandonata oppure, se la Commissione ritiene fondato il dubbio di infrazione, si può passare alla seconda fase. La Commissione invia quindi un parere motivato allo Stato interessato, in cui vengono illustrati i motivi per cui il Paese in questione starebbe violando il diritto dell’UE e viene formalmente richiesto di comunicare, in genere di nuovo entro due mesi, le misure che lo Stato ha adottato per rimediare all’infrazione.
Se, scaduti i termini, la Commissione ritiene che l’infrazione persiste, lo Stato interessato può essere deferito alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Contestualmente, la Commissione può chiedere alla Corte di imporre delle sanzioni. Questa terza fase, in realtà, viene quasi sempre evitata, dato che i Paesi in infrazione tendenzialmente rimediano alla violazione prima di arrivare a questo punto.
Lo Stato membro che, secondo la Corte, ha violato il diritto dell’UE è tenuto a cessare le pratiche che gli vengono contestate e a conformarsi agli obblighi comunitari. Qualora lo Stato non rispetti la decisione della Corte e non rettifichi la situazione, la Commissione europea può tornare a deferire lo Stato davanti alla Corte. A questo punto, la Corte stabilisce quali sanzioni pecuniarie comminare, che possono essere forfettarie o giornaliere e variano in base all’importanza delle norme violate e agli effetti della violazione per gli interessi generali e particolari delle parti in causa, alla durata della violazione, alla capacità del Paese di pagare la sanzione, che deve avere un effetto deterrente per future eventuali infrazioni.
Oltre ad avviare la procedura legislativa, la Commissione può anche intervenire in maniera diretta adottando atti non legislativi come le decisioni, i pareri, le opinioni, gli atti delegati e gli atti di esecuzione. Alcuni di tali atti, come le opinioni e i pareri, non hanno valore legale e vincolante. Altri hanno effetti giuridici: le decisioni si rivolgono a persone naturali o legali o a Stati membri e hanno effetto immediato, senza bisogno di essere recepite dall’ordinamento nazionale; gli atti delegati consentono alla Commissione di intervenire su elementi secondari di legislazione europea già esistente, a patto che ricevano la tacita approvazione ex post di Parlamento e Consiglio; gli atti di esecuzione, infine, consentono alla Commissione, sotto la supervisione di delegati degli Stati membri, di intervenire per assicurare l’uniformità dell’applicazione del diritto dell’UE in tutto in territorio dell’Unione.
Sotto il profilo dell’esecuzione, la Commissione emana tali atti quando siano necessarie condizioni uniformi di applicazione delle norme europee in settori quali l’agricoltura, la pesca o la concorrenza. In generale, l’esercizio di tali competenze è sottoposto al controllo degli Stati membri tramite l’istituzione, da parte del Consiglio, di appositi comitati. È prevista la formazione di comitati consultivi, di gestione e di controllo, formati da esperti degli Stati e rappresentanti della Commissione. Prima dell’adozione di atti esecutivi, la Commissione deve tenere in considerazione il parere di questi comitati speciali.
Altre funzioni esecutive sono poi quelle di esecuzione del bilancio e dei relativi programmi, poiché è la Commissione a ricevere le entrate e a effettuare le spese.
Infine, tramite l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la Commissione rappresenta l’Unione nei suoi rapporti esterni in maniera quasi esclusiva. La Commissione, infatti, negozia gli accordi internazionali per conto dell’UE e ne cura le relazioni internazionali con organizzazioni internazionali e altri Stati. La Commissione cura i collegamenti con le Nazioni Unite (dove c’è un ufficio permanente dell’Unione europea), con l’OSCE, l’organizzazione per la sicurezza nel continente europeo, il Consiglio d’Europa, e l’OCSE, l’organismo per la cooperazione economica europea.
Come tradizione, le delibere della Commissione sono approvate a maggioranza, anche se non viene mai indicata la distribuzione dei voti a favore o contrari, per sottolineare la collegialità delle decisioni prese.
Il Presidente della Commissione Europea
Questa carica presiede la Commissione, assegna i portafogli ai Commissari e ne guida l'azione. Le sue funzioni comprendono la definizione degli orientamenti di base dell’azione della Commissione, l’organizzazione interna della stessa per assicurarne la massima efficienza e incisività. La nomina dei Vicepresidenti della Commissione. Inoltre, può chiedere, in modo vincolante, le dimissioni di un Commissario.
Come è stato spiegato sopra, il candidato presidente della Commissione è proposto formalmente dal Consiglio, ma deve passare l’approvazione del Parlamento europeo, che dal 2014 ha deciso di seguire la procedura dello Spitzenkandidat. I nomi dei candidati, dunque, sono di fatto indicati dai gruppi politici del PE all’inizio della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento.
Attualmente il Presidente della Commissione è Jean-Claude Juncker. Personalità italiane ad aver ricoperto questo ruolo sono state Franco Maria Malfatti, (1970-1972) e Romano Prodi (1999-2004).
L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza
Figura introdotta dal Trattato di Lisbona come fusione dei due preesistenti ruoli di Alto Rappresentante per la politica estera e Commissario delle relazioni esterne, l’Alto Rappresentante, che è anche uno dei Vicepresidenti della Commissione, agisce come guida e rappresentante dell’Unione nelle sue relazioni esterne. I suoi compiti sono contribuire allo sviluppo della politica estera e di sicurezza comune (PESC), assicurare l’attuazione delle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio, condurre il dialogo con Paesi terzi e gli altri organismi internazionali. Tutto ciò è messo in atto senza precludere agli Stati membri la possibilità di condurre una propria politica estera parallela a quella dell’UE.
Nell’esecuzione dei suoi compiti, l’Alto Rappresentante si avvale delle funzioni svolte dal Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE), composto sia da rappresentanti diplomatici inviati dagli Stati membri, sia da funzionari provenienti da alcune direzioni generali della Commissione. Attuale Alto Rappresentante è l’italiana Federica Mogherini.
I rapporti con il Parlamento europeo
Il PE è l’organo davanti al quale il Presidente della Commissione europea deve presentarsi in prima battuta per vedersi confermato il proprio incarico. Quest’ultimo e la sua squadra di governo sono poi riesaminati collettivamente prima di essere approvati come componenti della Commissione europea. Con questo doppio vaglio si vuole creare una sorta di rapporto fiduciario con l’assemblea e garantire che gli atti della Commissione rispecchino i rapporti di forza all’interno del PE. In seguito, il Parlamento viene consultato in merito ad ogni rimpasto della Commissione, soprattutto per quanto riguarda le dimissioni e la sostituzione di un membro della Commissione
Inoltre, Il PE può approvare una mozione di censura nei confronti della Commissione, che provenga da almeno i due terzi dei voti espressi e la maggioranza dei membri. In questo caso, i Commissari devono abbandonare collettivamente le loro funzioni.
Inoltre, il Parlamento (e il Consiglio) vengono costantemente informati dei lavori dei comitati che affiancano la Commissione. Possono anche indicare a quest’ultima che un atto da adottare va al di fuori delle sue competenze. In tal caso, la Commissione riesamina il progetto e spiega come intende procedere.
Il dialogo tra le due Istituzioni prosegue anche attraverso le interrogazioni fatte dal Parlamento ai vari Commissari e l’organizzazione di riunioni regolari tra i rappresentanti di entrambe. In base a questo accordo, il Parlamento e la Commissione si impegnano anche ad esaminare con attenzione qualsiasi richiesta presentata da una o dall’altra istituzione. Inoltre, la Commissione si impegna a garantire all’assemblea l’accesso alle sue riunioni e ai suoi documenti nell’ambito delle procedure legislative e di bilancio. La Commissione si è inoltre impegnata a informare il Parlamento sul seguito concreto dato a qualsiasi richiesta d'iniziativa legislativa, in un tempo massimo di tre mesi. Infine, l'accordo tra le due istituzioni prevede l'impegno della Commissione a rafforzare la sua collaborazione con l’assemblea nei negoziati internazionali. Questa, in futuro, riceverà informazioni complete durante tutte le fasi dei negoziati. Inoltre, in occasione delle conferenze internazionali, la Commissione agevolerà la concessione dello status di osservatore al Presidente della delegazione del Parlamento.
LA CORTE DI GIUSTIZIA
La composizione
La Corte di giustizia dell’Unione europea è l’istituzione alla quale è demandato il controllo giurisdizionale sui comportamenti degli Stati membri e delle istituzioni comunitarie in merito al rispetto dei trattati. Interpreta, inoltre, il diritto comunitario. Si pronuncia sui ricorsi presentati da uno Stato membro o da un’istituzione, nonché su richiesta dei tribunali nazionali (rinvio pregiudiziale).
La Corte è composta da un giudice per paese membro, che siede a titolo individuale, e da otto avvocati generali. Essa ha sede a Lussemburgo. Giudici e avvocati sono eletti dagli Stati membri, previa consultazione di un comitato, per un mandato di sei anni rinnovabile tra le personalità che offrano garanzia di indipendenza e comprovata affidabilità. Il Presidente della Corte è eletto tra i giudici per tre anni rinnovabili e dirige l’attività sia giuridica che amministrativa della Corte. Gli avvocati generali hanno invece il compito di presentare pubblicamente conclusioni scritte nelle cause trattate dinanzi alla Corte, in completa indipendenza rispetto alle parti e nell’interesse dell’Unione. La figura dell’avvocato generale diventa particolarmente importante quando la Corte esamina materie giuridiche nuove per la Corte, poiché gli avvocati generali offrono proposte e suggerimenti interpretativi basati sui principi del diritto dell’UE, sui precedenti casi affrontati dalla Corte e sulla volontà di garantire coerenza al corpus giuridico dell’Unione.
Tra il personale della Corte c’è anche un Cancelliere, eletto per sei anni con funzioni giudiziarie, amministrative e finanziarie, che cura la gestione della Corte.
Normalmente, la Corte si riunisce in seduta plenaria, oppure in sezioni composte da undici (grande sezione), cinque o tre giudici.
Le funzioni
Il compito della Corte è di assicurare l’applicazione e il rispetto del diritto, nonché la sua interpretazione uniforme all’interno del territorio dell’Unione europea. Per svolgere queste funzioni, alla Corte compete l’esame dei possibili ricorsi che nascono dalle procedure di infrazione avviate dalla Commissione e i ricorsi per il risarcimento dovuto dall’UE in alcune materie. Controlla poi la legittimità degli atti dell’Unione e il comportamento delle Istituzioni, rilevandone infrazioni o omissioni.
Un ruolo cruciale della Corte è anche il suo potere di pronunciarsi sui ricorsi che le sottopongono gli organi giurisdizionali (le corti) degli Stati membri: questa procedura, il rinvio pregiudiziale, viene avviata ogni volta un tribunale nazionale ha dei dubbi legittimi sul significato o l’interpretazione di una norma di diritto dell’UE che sia rilevante per risolvere una controversia. In questo caso, la Corte riceve dal tribunale nazionale una domanda specifica di chiarimento, relativa alla controversia in questione, e il pronunciamento della Corte in risposta diventa l’interpretazione ufficiale e giuridicamente vincolante della norma di diritto dell’UE.
La Corte ha, infine, altre funzioni minori, che riguardano la soluzione delle controversie tra l’UE e i suoi agenti, o ricorsi contro sanzioni pecuniarie previste in atti comunitari.
Gli atti dell’Unione europea
Gli atti che l’Unione europea può adottare sono diversi, legislativi o non legislativi, vincolanti e non vincolanti: trattati, regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni, pareri, atti delegati, atti di esecuzione.
I Trattati europei non si limitano a enunciare i principi fondanti dell’UE e le competenze delle Istituzioni. Prevedono anche dei meccanismi per la creazione di nuove norme da applicare in tutti gli Stati membri, la “base legale” che specifica la possibilità per l’UE di legiferare in un determinato ambito, oltre che le procedure in cui può farlo. È poi a partire dagli atti legislativi dell’Unione, che diventano un diritto detto derivato rispetto ai trattati, che si fonda buona parte delle attività della Corte di giustizia.
I regolamenti, che rappresentano l’equivalente europeo delle leggi nazionali, sono atti di portata generale, nel senso che si rivolgono alla totalità dei soggetti e non a persone o enti giuridici particolari. Sono inoltre obbligatori, nel senso che i destinatari sono tenuti ad applicarli integralmente. Infine, il regolamento è direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, cioè crea diritti ed obblighi direttamente, senza che il paese debba adattarlo al diritto interno.
Le decisioni sono atti obbligatori come i regolamenti e sono anch’esse direttamente applicabili. La differenza risiede nel fatto che la decisione si rivolge a destinatari ben precisi e definiti. In questo senso esse possono essere paragonate ai procedimenti amministrativi propri degli Stati nazionali.
La direttiva, infine, impone allo Stato membro un risultato da raggiungere, lasciandolo libero di adottare i mezzi che ritiene più consoni. Come per gli altri due atti, la direttiva è obbligatoria, ma solo per quanto riguarda il fine da conseguire. Viene fissato dalle istituzioni comunitarie un termine ultimo per l’adempimento della direttiva e obbligo dello Stato nel periodo di adattamento del diritto interno ai vincoli comunitari è quello di operare in buona fede, senza compromettere il risultato ultimo stabilito dalla direttiva. Di questo strumento ci si è soprattutto serviti per armonizzare tra loro le legislazioni nazionali.
Per quanto concerne gli atti non obbligatori, le raccomandazioni hanno lo scopo di invitare gli Stati membri a conformarsi a un certo comportamento, mentre i pareri sono atti tramite i quali gli organi europei fanno conoscere il loro punto di vista rispetto una specifica questione. Pur senza essere vincolanti, la Corte ha riconosciuto che tali atti vanno tenuti in considerazione per interpretare correttamente norme nazionali o atti comunitari.
La tutela giurisdizionale
Il sistema di garanzia dell’UE prevede l’intervento della Corte nei casi di comportamenti non conformi degli Stati membri o delle Istituzioni comunitarie, la fase finale (e spesso evitata) di una procedura di infrazione. Nel primo caso, il ricorso può essere avviato dalla Commissione nell’esercizio del proprio potere di controllo, oppure da uno Stato membro che ritenga di avere individuato una violazione degli obblighi dei Trattati da parte di un altro Stato. La sentenza della Corte è di puro accertamento, nel senso che si limita a sancire la violazione e comminare una pena pecuniaria, ma non può indicare le misure necessarie a far cessare la violazione.
La Corte può anche intervenire per annullare atti giuridici dell’UE (ricorso per annullamento) qualora ritenga che un atto della UE sia in violazione dei trattati o dei diritti fondamentali. Un ricorso per annullamento può essere mosso dalle istituzioni europee o dal governo di uno Stato membro.
Specularmente, la Corte può sanzionare un organo dell’UE per mancato intervento (ricorso per omissione). In questo caso non sono solo le istituzioni dell’UE, ma anche persone fisiche o giuridiche a poter chiedere alla Corte di intervenire per sanzionare il fatto che una autorità competente della UE non abbia preso una decisione necessaria.
Inoltre, qualsiasi persona che ritenga essere stata danneggiata dall’azione o dall’omissione ad agire di un organo della UE o del suo personale può muovere un’azione di risarcimento dei danni presso la Corte.
Infine, vi è la possibilità di un intervento diretto dei giudici di Lussemburgo, qualora vengano sollecitati dai tribunali nazionali. Questo è il caso del rinvio pregiudiziale, che si verifica quando un giudice nazionale reputi necessario l’intervento della Corte per poter decidere riguardo al significato o all’interpretazione di una norma di diritto dell’UE che sia necessaria a giudicare del caso in esame. Peraltro questa iniziativa del giudice interno è facoltativa se egli è un giudice non di ultimo grado, mentre è obbligatoria nel caso in cui la disputa abbia raggiunto un tribunale di ultima istanza (nel caso italiano, la Corte costituzionale). Una volta che la Corte si è espressa il giudice nazionale dovrà seguirne la pronuncia e disapplicare, se necessario, la norma nazionale incompatibile con il diritto UE.
Il Tribunale di primo grado
Per coadiuvare la Corte di giustizia nell'esame del gran numero di cause proposte e per offrire ai cittadini una maggiore tutela giuridica, è stato creato nel 1988, su domanda della Corte e con decisone del Consiglio, il Tribunale di primo grado. Esso è competente per tutti i ricorsi proposti da soggetti diversi dagli Stati e dalle Istituzioni comunitarie. Consta di 46 giudici, almeno uno per ciascuno Stato membro, ma non è assistito da avvocati generali, a meno di una formale richiesta.
Tutte le cause decise in primo grado dal Tribunale possono essere impugnate dinanzi alla Corte di giustizia, entro un termine di due mesi, nel caso sussistano rischi per la coerenza e l’unità del diritto comunitario.
I rapporti con il Parlamento europeo
Come abbiamo visto sopra, la Corte può essere chiamata a giudicare la legittimità degli atti legislativi adottati dal PE, così come da qualunque altra istituzione dell’UE. Per questo motivo si può dire che l’attività dell’assemblea sia sottoposta al vaglio di legittimità della Corte. Inoltre, il Parlamento può anche adire la Corte stessa quando giudichi il comportamento di un altro organo europeo non conforme ai fini dei trattati. Infine, la stessa assemblea può richiedere un parere ai giudici circa la compatibilità di un’intesa stipulata con le disposizioni dei Trattati.
Nella foto, la sede della Banca Centrale Europea, a Francoforte sul Meno (Germania)
LA BANCA CENTRALE EUROPEA
La composizione
La Banca Centrale Europea (BCE), entrata nel quadro istituzionale dell’Unione dopo la riforma attuata dal Trattato di Lisbona, costituisce l’organo più importante del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC), preposto a condurre la politica monetaria europea. Questo, pur essendo composto dalle banche centrali nazionali e dalla BCE, è governato dagli organi decisionali di quest’ultima, il Consiglio direttivo e il Comitato esecutivo.
Il Comitato esecutivo è composto da Presidente, Vicepresidente e da altri quattro membri nominati dal Consiglio europeo su raccomandazione del Consiglio, previo parere del Parlamento e del Consiglio direttivo della BCE.
La sua funzione principale è l’implementazione delle decisioni adottate dal Consiglio direttivo impartendo le necessarie istruzioni alle banche centrali nazionali. Inoltre, amministra la gestione corrente della BCE e prepara le riunioni del Consiglio direttivo. Questo comprende i membri del Comitato esecutivo e i Governatori delle banche centrali dei paesi che adottano l’Euro. Suo compito è definire le linee generali della politica monetaria europea, nonché deliberare in merito alle quote del capitale della BCE.
Inoltre, vi è un terzo organo decisionale, il Consiglio generale. Questo è un organismo a carattere transitorio costituito dal Presidente, dal Vicepresidente e dai Governatori delle banche centrali di tutti gli Stati membri.
Così configurato, il sistema si caratterizza per un elevato grado di indipendenza sia nei confronti degli Stati nazionali, sia dagli organi comunitari. Infatti, i mandati dei Governatori delle banche centrali nazionali, della durata di non meno di cinque anni, e quelli dei membri del Comitato esecutivo, fissato a otto anni senza possibilità di rinnovo, sono stati resi volutamente non coincidenti. Per quanto concerne la revoca dell’incarico, i Governatori delle banche nazionali possono essere estromessi da parte delle autorità nazionali solo per gravi mancanze ai loro doveri. I membri del Comitato esecutivo, invece, possono essere licenziati solo dalla Corte di Giustizia, su istanza dell’organo di cui fanno parte o del Consiglio direttivo.
Le funzioni
Nell’ambito del SEBC, il cui compito principale è mantenere la stabilità dei prezzi, le funzioni della BCE sono quelle di definire e attuare la politica monetaria europea specialmente per i paesi dell’area Euro, di svolgere operazioni sui tassi di cambio, gestire le riserve ufficiali degli Stati membri e favorire il funzionamento dei sistemi di pagamento. Inoltre, la BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote e di pubblicare ogni trimestre un rapporto sull’andamento del SEBC. Infine, vigila sulle banche commerciali e sugli altri istituti.
I rapporti con il Parlamento europeo
Ogni anno, la BCE è tenuta a presentare una relazione al PE e alle altre istituzioni europee, in cui vengono spiegate le attività del SEBC e l’andamento della politica monetaria dell’anno precedente e di quello in corso. Il Parlamento può procedere ad un dibattito sulla relazione e pervenire all’adozione di una risoluzione. Sono anche previste audizioni per il Presidente e per i membri del Comitato esecutivo.
LA CORTE DEI CONTI
La composizione
La Corte dei Conti, con sede a Lussemburgo, venne istituita nel 1975 come istituzione per controllare le finanze dell’Unione. È un organo composto da un rappresentante per Stato membro, scelti dai propri governi per la loro precedente esperienza negli organi di controllo nazionali. I membri della Corte sono nominati dal Consiglio previa consultazione con il Parlamento europeo. Il loro mandato dura sei anni.
Le funzioni
La Corte dei Conti, oltre ad assistere le Istituzioni preposte all’approvazione del bilancio comunitario, vale a dire il Consiglio e il Parlamento, assicura la gestione finanziaria dell’Unione. Il suo compito mira a verificare la legittimità e la sana gestione delle risorse finanziarie, cioè l’efficacia, l’economicità e l’efficienza del bilancio. Inoltre, essa esamina ogni entrata e ogni spesa dell’UE e di ogni suo organismo.
Il bilancio europeo è il documento contabile dove sono registrate le entrate e le spese dell’UE, cioè l’utilizzo delle risorse ottenute. L’Unione europea si finanzia tramite dazi e prelievi sullo zucchero, una accisa applicata alla tassa sul valore aggiunto in ciascuno Stato membro, il contributo diretto di ciascun Stato membro calcolato in base al suo reddito interno lordo.
Tra gli obiettivi dell’UE troviamo anche la coesione tra le varie regioni del continente. Per fare ciò l’UE può spendere al massimo l’1% del PIL del continente. L’esiguità di tale cifra è spiegata dal fatto che alcune voci (la sanità o l’istruzione) sono ancora di competenza dei bilanci nazionali.
La ripartizione delle risorse viene decisa nel quadro finanziario pluriennale (QFP), in cui viene delineato il programma di bilancio dell’Unione per un periodo variabile tra i cinque e i sette anni. Il QFP viene redatto in prima battuta dalla Commissione, che poi lo propone al Consiglio dell’UE per un voto di approvazione. È significativo notare che, nell’approvazione del QFP (e dunque delle voci di spesa dell’UE per un periodo di tempo pari o superiore a quello di una legislatura), il Parlamento europeo abbia la facoltà di approvare o respingere una bozza di bilancio proposta dalla Commissione e approvata dal Consiglio, ma non la possibilità di proporre emendamenti.
Oltre al quadro finanziario pluriennale, esiste anche un bilancio annuale, con l’indicazione delle spese annuali per ogni programma. Il bilancio annuale viene poi verificato dalla Corte dei conti e approvato da Parlamento europeo e Consiglio al termine di una complessa procedura che prevede due fasi di lettura e approvazione.
I rapporti con il Parlamento europeo
Alla fine dell’esercizio contabile annuale, la Corte presenta una relazione contenente una dichiarazione di affidabilità dei conti e di regolarità della gestione finanziaria, che viene comunicata al PE e alle altre Istituzioni. È anche prevista la possibilità di presentare relazioni speciali su questioni particolari o dare pareri a seguito di una specifica richiesta.
I COMITATI E LE AGENZIE
Il Comitato Economico e Sociale Europeo
Creato nel 1957, il Comitato Economico e Sociale Europeo è un organo consultivo del Parlamento, del Consiglio e della Commissione. Composto di 350 membri provenienti dalle categorie dei datori di lavoro, dei lavoratori, e di altre attività socio-economiche, i suoi membri sono eletti per un mandato rinnovabile di 5 anni dai governi nazionali e dal Consiglio. Il Comitato è un forum di discussione su temi legati al mercato unico e del lavoro, che viene consultato obbligatoriamente o in maniera facoltativa a seconda di quanto previsto dei Trattati. Il numero dei rappresentanti varia secondo la popolazione nazionale, da un massimo di 24 membri per Germania, Francia, Italia, Regno Unito ad un minimo di 5 per Malta.
Il Comitato delle Regioni
Il Comitato europeo delle regioni (CoR) è un organo consultivo che dà voce agli enti regionali e locali dell'Unione europea.
Il ruolo del Comitato europeo delle regioni è quello di fare in modo che le decisioni dell'UE tengano conto della prospettiva locale e regionale. A tal fine, il Comitato pubblica relazioni e pareri. La Commissione, il Consiglio e il Parlamento devono consultare il Comitato delle Regioni prima che l'UE prenda decisioni su temi di competenza delle amministrazioni locali e regionali. I membri del comitato, attualmente 350, sono in ambito nazionale titolari di un mandato elettorale regionale o locale. Sono eletti per un periodo di cinque anni con decisione del Consiglio su proposta della Commissione.
Vi sono sei Commissioni che si occupano di diversi settori politici e preparano i pareri da discutere nelle sessioni plenarie: Commissione politica di coesione territoriale; Commissione politica economica e sociale; Commissione istruzione, gioventù e cultura; Commissione ambiente, cambiamenti climatici ed energia; Commissione cittadinanza, governance, affari istituzionali ed esterni; Commissione risorse naturali. Nel Comitato delle Regioni sono infine rappresentati quattro gruppi politici che riflettono i principali schieramenti europei.
Agenzie di regolamentazione
Le Agenzie dell’Unione europea sono enti di varia denominazione istituiti con finalità di controllo o col compito di fornire a chiunque ne avesse bisogno informazioni e pareri di natura tecnica. Questi organismi sono enti con propria personalità giuridica, finanziaria e contabile. La loro struttura prevede un Consiglio di amministrazione, un Direttore generale e un Comitato tecnico-scientifico.
In particolare, le agenzie per la regolamentazione sono agenzie settoriali che hanno il compito di osservatori, come l’Osservatorio delle droghe e delle tossicodipendenze, oppure che si occupano del corretto funzionamento del mercato unico, come l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno, l’Agenzia europea per la sicurezza marittima e l’Autorità europea per la sicurezza alimentare.
Altra funzione svolta è quella della promozione del dialogo sociale, sulla falsariga di uno dei compiti del Comitato Economico e Sociale Europeo, come portato avanti dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro o la Fondazione europea per la formazione professionale.
Le Agenzie decentrate
Sono strutture create per fornire aiuto e consulenza agli Stati membri in campo giuridico, tecnico e scientifico, nonché per decentrare alcuni organi che devono attuare le politiche europee, lasciando libere le Istituzioni decisionali di concentrarsi nell’elaborazione di tali politiche. Le agenzie rafforzano inoltre la cooperazione tra l'UE e i governi nazionali in settori importanti, riunendo le competenze tecniche e specialistiche disponibili a livello europeo e nazionale. Tra le principali agenzie troviamo l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e l’Agenzia europea per la sicurezza aerea. Nel campo delle relazioni esterne troviamo l’Agenzia europea di Difesa, il Centro satellitare dell’Unione europea e l’Istituto per gli studi sulla sicurezza.
Le Agenzie EURATOM
Sono organismi creati per realizzare gli obiettivi della terza Comunità europea, quella per l’energia atomica. In particolare, il loro scopo è di coordinare i programmi nucleari nazionali, promuovere un uso pacifico dell’energia atomica, finanziare le infrastrutture in questo settore e assicurare un approvvigionamento sufficiente per l’UE. Le agenzie specializzate in questo campo sono l’Agenzia di approvvigionamento EURATOM, l’Impresa comune europea per il progetto ITER e lo sviluppo dell’energia da fusione.
Le Agenzie esecutive
Questi sono organismi creati per la gestione e l’esecuzione di uno o più programmi europei, un compito affidato loro dalla Commissione europea. Tra le principali agenzie si segnalano l’Agenzia esecutiva per la ricerca, l’Agenzia esecutiva per la competitività e l’innovazione, e l’Agenzia esecutiva per la rete transeuropea di trasporto.
LE PROCEDURE DI VOTAZIONE E ADOZIONE DEGLI ATTI
L’articolazione di queste competenze si è notevolmente modificata nel corso della storia dell’UE, poiché si è passati da un monopolio decisionale da parte del Consiglio a una sorta di codominio col Parlamento europeo, secondo quanto prescritto dalle riforme del Trattato di Lisbona. Infatti, poiché le norme europee investono direttamente i singoli, si poneva il problema di non lasciare tutto il potere legislativo nelle mani dell’organo che rappresenta esclusivamente gli Stati membri. Ciò non esclude che, ancora oggi, la responsabilità per la realizzazione degli obiettivi della comunità ricada in massima parte sugli Stati, e quindi sui loro rappresentanti nel Consiglio, i quali hanno altresì un vincolo nei confronti dei propri compatrioti. Tuttavia, qualsiasi accrescimento del ruolo del Parlamento europeo non fa altro che migliorare la trasparenza, accrescere la democraticità del processo, e avvicinare i cittadini alle Istituzioni europee.
Da quanto sopra scritto circa le competenze delle tre Istituzioni coinvolte nel procedimento legislativo europeo (Parlamento, Consiglio, Commissione), il potere di iniziativa legislativa, cioè di proporre l’adozione di un atto, è detenuto quasi esclusivamente dalla Commissione europea. Vi sono però anche dei casi in cui la richiesta proviene da un organismo esterno. Questa può essere formulata dal Parlamento, dal Consiglio, o da un milione di cittadini dell’Unione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri (la cosiddetta iniziativa legislativa dei cittadini).
La bozza dell’atto legislativo è poi discussa dal COREPER e può essere modificata dal Consiglio all’unanimità. Ciò non toglie che la Commissione stessa possa modificare la propria proposta, purché non vi abbiano ancora deliberato il PE o il Consiglio. È abitudine della Commissione stessa porre accanto alla sua proposta modifiche ed emendamenti ritenuti possibili.
A questo punto, la proposta è discussa dal PE e dal Consiglio, con procedure diverse in relazione al ruolo delle due Istituzioni. Il Trattato di Lisbona ha risistemato la disciplina in questo settore prevedendo una procedura legislativa ordinaria, quella adottata in linea generale, e delle procedure legislative speciali.
La procedura legislativa ordinaria prevede che ci debba essere l’assenso dei due organi legislativi perché l’atto venga adottato. Essa si articola in quattro fasi, la prima delle quali prevede che il Parlamento esprima la propria posizione sulla bozza legislativa proposta dalla Commissione e la trasmetta al Consiglio. Il Consiglio può adottare la proposta così come viene trasmessa o rimandarla al PE con gli emendamenti che ritiene opportuni. La seconda fase prevede un’ulteriore rilettura da parte dell’assemblea, la quale può approvare, respingere o proporre emendamenti alla bozza di atto. A questo punto il Consiglio avvalla la posizione del Parlamento oppure convoca un Comitato di conciliazione.
Nella terza fase il Comitato di conciliazione, formato da membri tanto del Parlamento quanto del Consiglio, cerca di raggiungere un accordo su un testo di compromesso, che possa essere approvato. Se un’intesa non è possibile, la proposta si considera scartata.
La quarta e ultima fase prevede una terza rilettura della bozza di atto così come approvata dal Comitato di conciliazione e la sua approvazione da parte del Parlamento, che delibera a maggioranza dei voti espressi, ma anche da parte del Consiglio, che decide a maggioranza qualificata.
Le procedure legislative speciali sono molto più rapide, poiché non vi è parità di preorgative tra le Istituzioni che decidono. Un primo metodo è la procedura di consultazione, che prevede la consultazione del Parlamento da parte del Consiglio prima dell’approvazione di un atto. Il parere del PE non è vincolante ma è obbligatorio, nel senso che senza di esso l’atto viene considerato invalido. È anche previsto che del parere del Parlamento debba tenerne conto la Commissione, sebbene abbia la facoltà di ignorarlo qualora modifichi la sua proposta legislativa.
Il secondo procedimento speciale è la procedura di approvazione, introdotta nell’Atto unico con la denominazione di parere conforme, la quale prevede che il Parlamento esprima il proprio accordo o meno circa l’adozione di un atto da parte del Consiglio. Questo parere, oltre che obbligatorio è vincolante, perciò senza l’assenso del PE non è possibile legiferare. Ciò implica per l’assemblea un vero e proprio diritto di veto.